MOBILITA’ VOLONTARIA POSSIBILE ANCHE PRIMA DEI CINQUE ANNI DI PERMANENZA NELLA (P.A.) PRIMA SEDE DI ASSEGNAZIONE PER I NEOASUNTI? DIPENDE DA COSA ?
Un consiglio: motivare sempre bene ed in modo oggettivamente circostanziato il nulla osta (o...
MOBILITA’ VOLONTARIA POSSIBILE ANCHE PRIMA DEI CINQUE ANNI DI PERMANENZA NELLA (P.A.) PRIMA SEDE DI ASSEGNAZIONE PER I NEOASUNTI? DIPENDE DA COSA ?
a cura di Riccardo Lasca
06 Aprile 2022
Come è noto, la stragrande maggioranza dei neolaureati intenzionati a diventare dipendenti pubblici presentano domanda di partecipazione a concorsi praticamente ovunque sul territorio nazionale, anche presso PP.AA. ubicate oltre 1000 chilometri di distanza da dove si ha la residenza e magari anche una abitazione non in affitto ed un sistema familiare in grado di contribuire non poco al manage quotidiano sul piano economico e non solo: gli affetti li trascuriamo? Certo che no. Ma spostarsi in due con uno solo che ‘guadagna’, pagare un affitto, acqua/luce/gas e cibo da qualche anno in Italia è praticamente impossibile.
Quindi, vinto un concorso ai confini del Regno rispetto alla propria ‘naturale’ residenza, superato il periodo di prova, grande è la tentazione per il neo-dipendente pubblico di tornare a ‘casa’, per mille ragioni (fondatissime!), magari approfittando di un avviso di mobilità cd. ‘volontaria’ che ex art 30 Tupi le PP.AA. debbono avviare, quando non si ha a disposizione collega per una mobilità cd. incrociata o scambio. Mobilità: una modalità ‘assunzionale’ latu sensu (in verità è una mera cessione di contratto) 1 assai pregiata se si pensa che è ad effetti economici zero sui vigenti ‘pro tempore’ limiti di spesa di personale ove effettuata da e verso ente soggetto a limitazioni; insomma in tal caso gli enti (cedente ed accogliente) vengono considerati come parti di una unica PA avente un’unica dotazione organica.
Procedura di mobilità cd. volontaria che ai sensi dell’art. 30 (Passaggio diretto di personale tra amministrazioni diverse) comma 1 del Tupi sconta o non sconta il PREVIO ASSENSO (detto anche NULLA OSTA) della PA cedente ed esattamente:
“1. [1°] Le amministrazioni possono ricoprire posti vacanti in organico mediante passaggio diretto di dipendenti di cui all' articolo 2, comma 2 , appartenenti a una qualifica corrispondente e in servizio presso altre amministrazioni, che facciano domanda di trasferimento.(((senza necessità di previo assenso !!!)))
[2°] E' richiesto il previo assensodell'amministrazione di appartenenza nel caso in cui si tratti di posizioni dichiarate motivatamente infungibili dall'amministrazione cedente o, di personale assunto da meno di tre anni o qualora la mobilità determini una carenza di organico superiore al 20 per cento nella qualifica corrispondente a quella del richiedente.
[3°] E' fatta salva la possibilità di differire, per motivate esigenze organizzative, il passaggio diretto del dipendente fino ad un massimo di sessanta giorni dalla ricezione dell'istanza di passaggio diretto ad altra amministrazione.
[4°] Le disposizioni di cui ai periodi secondo e terzo non si applicano al personale delle aziende e degli enti del servizio sanitario nazionale e degli enti locali con un numero di dipendenti a tempo indeterminato non superiore a 100, per i quali è comunque richiesto il previo assenso dell'amministrazione di appartenenza. ”.
Ma la questione era ed è da sempre: e la PA che tanto ha speso e magari investito sul neo-dipendente assunto, anche in termini di formazione (affiancamento da parte del collega pensionando, seminari etc.), deve lasciar andar via tale nuova e fresca risorsa o può negarlo? La questione negli anni deve essersi posta in modo davvero serio ai ministeri - come si sa molto vicini alle aule legislative e al Governo - se è vero come è vero che per tutelare la PA nel D.Lgs. 165/2001 all’art. 35 - ed esattamente dal comma 5-bis che dall’1.1.2006 – si legge il seguente comma:
> "5-bis. I vincitori dei concorsidevono permanere nella sede di prima destinazione per un periodo non inferiore a cinque anni. La presente disposizione costituisce norma non derogabile dai contratti collettivi".” (così sino all’8.8.2021 ad operadall'articolo 1, comma 230 della legge 23 dicembre 2005, n. 266: ergo dall’1.1.2006.);
> poi modificato (integrato) come segue dall'art. 1, comma 957, L. 30 dicembre 2021, n. 234, a decorrere dal 1° gennaio 2022.: “5-bis. I vincitori dei concorsi devono permanere nella sede di prima destinazione per un periodo non inferiore a cinque anni, ad eccezione dei direttori dei servizi generali e amministrativi delle istituzioni scolastiche ed educative che permangono nella sede di prima destinazione per un periodo non inferiore a tre anni. La presente disposizione costituisce norma non derogabile dai contratti collettivi.”.
Ora, come è noto il D.Lgs. 267/2000 TUAL rinvia, per quanto non ivi disciplinato, alla disciplina del D.Lgs. 165/2001, ma siccome la materia in esame era ed è materia che scotta, presso gli Enti Locali, allora il Legislatore nel 2019 è intervenuto ad hoc per ‘sistemare’ le cose anche in tali ambiti non propriamente ministeriali e con l'articolo 14-bis della legge 26/2019, infatti, inserisce all'interno dell'articolo 3 del decreto legge n. 90/2014, convertito in legge 114/2014, un nuovo comma 5-septies, ai sensi del quale «i vincitori dei concorsi banditi dalle regioni e dagli enti locali, anche se sprovvisti di articolazione territoriale, sono tenuti a permanere nella sede di prima destinazione per un periodo non inferiore a cinque anni. La presente disposizione costituisce norma non derogabile dai contratti collettivi». Interessante è anche ricordare il comma 6 di detto art. 3 che recita : “6. I limiti di cui al presente articolo non si applicano alle assunzioni di personale appartenente alle categorie protette ai fini della copertura delle quote d'obbligo.”
E’ risaputo infine che, anche grazie alla Cassazione (Ordinanza 16 gennaio - 1° marzo 2019, n. 6150), la L. 104/1992 deroga ad entrambe. Invero, ha statuito che: in riferimento alla L. n. 104 del 1992, art. 33, comma 5, nel testo anteriore alle modifiche di cui alla L. n. 53 del 2000, la norma di cui alla legge 5 febbraio 1992, n. 104, art. 33, comma 5, sul diritto del genitore o familiare lavoratore "che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato" di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio, è applicabile non solo all'inizio del rapporto di lavoro mediante la scelta della sede ove viene svolta l'attività lavorativa, ma anche nel corso del rapporto mediante domanda di trasferimento. La ratio della norma è infatti quella di favorire l'assistenza al parente o affine handicappato, ed è irrilevante, a tal fine, se tale esigenza sorga nel corso del rapporto o sia presente all'epoca dell'inizio del rapporto stesso.
Detto tutto ciò restava - sino all’1.4.2022 - un solo problema: entrambe le norme sopra ricordate si rivolgono direttamente al lavoratore vincitore di concorso, ovviamente al netto dell’ipotesi che non sia ulteriormente vincitore di altro (nuovo) concorso altrove, ma la PA può derogare a tale ordine e lasciare andar ‘via’ il neoassunto che non avrebbe tale diritto ma se autorizzato poi potrebbe ?
Personalmente chi scrive, già dirigente del Servizio Risorse Umane di E.L., esattamente e proprio negli anni interessati dall’introduzione del suddetto divieto (inizialmente sul solo Tupi), -