RECUPERO UNILATERALE DI PAGAMENTO INDEBITO A MEZZO TRATTENUTE SULLA BUSTA PAGA: IL CONSIGLIO DI STATO 2024 PIU’ GARANTISTA DELLA CASSAZIONE LAVORO 2023 A TUTELA DELL’ESISTENZA DIGNITOSA DEL PUBBLICO DIPENDENTE
Istruzioni di buon senso basate sul codice civile per recuperare senza arrecare danno al dipendente!
RECUPERO UNILATERALE DI PAGAMENTO INDEBITO A MEZZO TRATTENUTE SULLA BUSTA PAGA: IL CONSIGLIO DI STATO 2024 PIU’ GARANTISTA DELLA CASSAZIONE LAVORO 2023 A TUTELA DELL’ESISTENZA DIGNITOSA DEL PUBBLICO DIPENDENTE
a cura di Riccardo Lasca
25 Novembre 2024
La lettura della recente sentenza del Consiglio di Stato n. 7712 del 23/9/2024 Sezione VII, opportunamente segnalata dall’Autore Pieruligi Tessaro con suo articolo su questo stesso sito web1, induce lo scrivente per una parte interessante del suo contenuto ad un ovvio quanto doveroso confronto con analogo pronunciamento in materia ma della Cassazione del 2023 ed esattamente Sezione lavoro ordinanza del 12 agosto 2021 n. 22823, perché a ben vedere il Consiglio di Stato, a dire il vero a fronte di una specifica doglianza dell’appellante Professore universitario (che ha subito parziali ritenute stipendiali) fa luce su di un aspetto della vicenda del RECUPERO DEL PAGAMENTO INDEBITO DA PARTE DELLA PA sul quale molti commentatori di Gr. tacciono e purtroppo anche molti Relatori in seminari ad hoc per siffatto atto gestionale apparentemente semplice, almeno per la PA. Ma le cose non stanno così in punto di diritto.
Invero, chi scrive, laureato in Giurisprudenza ed abilitato all’esercizio della professione di Avvocato, dinanzi all’attività della PA CHE RECUPERA A MEZZO RITENUTE STIPENDIALI UN PAGAMENTO INDEBITO VERIFICATOSI SOVENTE PER ERRORE DI QUALCUNO, UNILATERALMENTE E QUANDO VA BENE PREVIA COMUNICAZIONE SCRITTA MA O IMMOTIVATA O SCARSAMENTE MOTIVATA E SOVENTE CON SCARSISSIMO PREAVVISO, non ha mai avuto dubbi sui seguenti due punti:
PUNTO ALFA) sulla DOVEROSITA’ DI TALE RECUPERO a tutela dell’Erario: non si comprende invero perché se a pagare male in fondo è l’Erario (patrimonio pubblico costituito grazie alle tasse versate dagli italiani = Popolo italiano) il recupero del mala pagato sul percettore-dipendente (ma anche verso terzi non dipendenti !!!) non si debba fare. Semmai nella vicenda c’è un concomitante problema/aspetto da valutare bene, pena grave omissione2: sussiste responsabilità di chi ha pagato male? Ad esempio disciplinare, no? Aspetto che assolutamente non viene meno grazie al recupero integrale poi effettuato. Non mi sembra che dentro le PP.AA. questo aspetto ‘concomitante’ sia adeguatamente indagato dall’UPD. Consiglio di leggere bene la nota 2;
PUNTO BETA) sulla IRRILEVANZA DELLA EVENTUALE BUONA FEDE DEL DIPENDENTE ACCIPIENS CHE SOL PER ESSA NON PUO’ OPPORSI A TALE DIRITTO DI RECUPERO DELLA PA: invero c’è da spendere poche parole sul punto tanto è chiaro l’art. 2033 del cc. che tutela in tal caso il credito della PA recuperante: “Chi ha eseguito un pagamento non dovuto(1) [1189] ha diritto di ripetere ciò che ha pagato [1185 comma 2, 1463, 1952 comma 3]. Ha inoltre diritto ai frutti e agli interessi dal giorno del pagamento, se chi lo ha ricevuto era in mala fede, oppure, se questi era in buona fede, dal giorno della domanda [1148, 2036; 39 l.f.].”. ERGO: anche l’accipiens in buona fede comunque deve restituire il mal ricevuto !!! Il mero ricevimento della somma indebita lo costituisce debitore della PA erogante la stessa.
Concludendo sulla pacifica DOVEROSITA’ DEL RECUPERO il Consiglio di Stato non può che rimettersi ai precedenti propri arresti ottimamente richiamati in sintensi dal citato Autore nel suo articolo dell’11.11.2024, e chi scrive sottolinea in modo esteso come segue semplicemente riportando alcuni estratti salienti della citata sentenza amministrativa (resa in giudizio speciale riservato a dipendente pubblico non privatizzato):
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3.4. Infine, quanto alla dedotta violazione dei parametri convenzionali, il Tribunale ha premesso che, in materia di ripetizione di indebito nel pubblico impiego, la giurisprudenza ha da sempre affermato la regola generale dell'art. 2033 c.c.. - in base al quale chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato - a fronte dell'obbligo dell'amministrazione di recuperare le somme indebitamente versate, escludendo che la semplice buona fede del beneficiario legittimi, di per sé, una soluti retentio del trattamento economico così ricevuto, potendo piuttosto rilevare ai soli fini del temperamento dell'onerosità del recupero operato dall'amministrazione.
3.5. Sebbene non siano mancate, anche di recente, pronunce del giudice amministrativo che, valorizzando le specifiche connotazioni, giuridiche e fattuali, delle singole fattispecie dedotte in giudizio, hanno escluso volta per volta la ripetizione, secondo il primo giudice non può certo affermarsi la vigenza di un generale principio di irripetibilità delle somme indebitamente corrisposte a fronte dell'affidamento maturato dal percettore, né lo stesso è stato sancito dalla pronuncia della Corte EDU, invocata dal ricorrente, la quale, una volta specificati i presupposti che consentono di identificare un affidamento legittimo in capo all'accipiens, ha piuttosto stigmatizzato la sproporzione dell'interferenza rispetto a detto affidamento, ravvisando quindi una violazione dell'art. 13 Prot. add. CEDU, alla luce delle particolari circostanze del caso concreto e delle condizioni economiche e personali, di indiscussa fragilità, dell'interessata, pur sempre riconoscendo l'interesse generale sotteso all'azione di ripetizione dell'indebito e la sua legittimità.
3.6. In altri termini, come ben evidenziato dalla Corte costituzionale nella recente sentenza n. 8 del 2023, la pur doverosa considerazione dell'affidamento legittimo dell'obbligato e delle sue condizioni economiche, patrimoniali e personali non impone di "generalizzare un diritto alla irripetibilità della prestazione".
3.7. La stessa Corte (((Costituzionale))), chiamata a pronunciarsi sulla questione di legittimità costituzionale dell'art. 2033 c.c. sollevata in riferimento all'art. 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 1 Prot. add. CEDU, come interpretato dalla giurisprudenza convenzionale, ha respinto la questione in ragione del quadro di tutele offerte dall'ordinamento interno al legittimo affidamento (sentenza n. 8/2023, cit.).
(…)
12.1. Come ha ben messo in rilievo la sentenza impugnata, senza che sul punto vi sia stata del resto specifica contestazione da parte dell'appellante, in base all'istruttoria svolta dal Tribunale è emerso chiaramente che non si è affatto realizzata siffatta sproporzione, tenuto conto della modalità di recupero rateizzata, con trattenute mensili entro il limite del quinto stipendiale (avverso le quali nessun rilievo è stato mosso), e delle condizioni economico patrimoniali dell'interessato (presenza di un apprezzabile patrimonio mobiliare e immobiliare quali fabbricati, terreni e investimenti all'estero).
12.2. Né, per altro verso, sono stati rappresentati interessi superiori della persona e diritti inviolabili che rischino di essere nella specie compromessi (((dal recupero avviato unilateralmente))), dato che le spese documentate non risultano in tal senso determinanti (l'assistenza per il cognato è a carico della moglie, titolare di un proprio reddito; il contratto di locazione ha durata non eccedente i tre anni, a decorrere dall'ottobre 2019; il piccolo prestito quadriennale è in scadenza -novembre 2024).
12.3. Coerentemente con l'orientamento emerso nella più recente giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (v., v. ad esempio, Cons. St., sez. VII, 16 maggio 2024, n. 4386, Cons. St., sez. IV, 17 agosto 2023, n. 7799), che induce a ritenere superate le isolate pronunce menzionate dall'appellante, pronunce anteriori, peraltro, alla sentenza n. 8 del 2023 della Corte costituzionale, deve dunque escludersi, anche per quanto attiene all'invocato parametro convenzionale, la illegittimità dell'azione di recupero intrapresa dall'Ateneo.
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Il NOCCIOLO DEL PROBLEMA O DUBBIO CHE DIR SI VOGLIA CHE ARROVELLA CHI SCRIVE DA SEMPRE SUL TEMA non è rappresentato dalle questioni di cui PUNTI ALFA e BETA sopra trattati, ma dal MODUS CON CUI LA PA OPERA IL RECUPERO e più esattamente:
- RECUPERO certamente spesso operato cautelativamente nei limiti del 1/5 dello stipendio (traguardando l’art. 5454 cpc dettato però per il PIGNORAMENTO che si basa sempre su di un titolo esecutivo - che qui manca – portante un credito certo, liquido ed esigibile !!!) ma UNILATERALE, cioè senza un titolo esecutivo giudiziale che accerti esistenza ed esatta entità del credito ovvero senza un accordo negoziale su ad es. decorrenza, entità delle rate etc.: LEGITTIMO ? E IN BASE A QUALE ISTITUTO? [Quesito 1°]
- RECUPERO operato talvolta SENZA PREAVVISO ADEGUATO: legittimo? [Quesito 2°]
- RECUPERO operato talvolta SENZA PREVIA ESPLICITAZIONE DELLA RAGIONE E DEI CONTI EFFETTUATI: legittimo? [Quesito 3°]
Da dove nascono simili quesiti? Non solo da una sana curiosità giuridica (v. quesiti 1° e 2°) vivendo in uno Stato di diritto; ma anche dalla concretezza del vivere (v. quesito 3°): e se il dipendente cui viene decurtato lo stipendio sta pagando rate di un mutuo e magari anche un assegno mensile al coniuge divorziato, con lo stipendio di risulta dopo la decurtazione della PA riesce a vivere (alimentazione e utenze)? Oppure, magari previamente avvisato adeguatamente e tempestivamente l’ignaro debitore ‘per colpa altrui’ – gi esposto per altri debiti: capita nela vita ! - ben avrebbe potuto trovare un benevolo finanziatore per estinguere cash ed immediatamente il debito anziché entrare in un autentico girone infernale ripeto: PER COLPA DI ALTRI E NON SUA: UN ERRORE DELLA PA nel caso di pagamento indebito.
Su simili aspetti e dubbi, non certamente irrilevanti ed infondati per quanto si dir in appresso, si sofferma ad esempio certa dottrina che in articolo dedicato al mondo del lavoro privato, cui però appartiene ormai anche il pubblico dipendente privatizzato, trattando ad es. del diverso caso di credito del datore di lavoro insorto per danno arrecato a beni aziendali (la sostanza non cambia: il diritto applicabile è lo stesso) rileva i seguenti delicati aspetti (v. https://sparpaglione.it/diritto-del-lavoro/rapporto_di_lavoro/la-trattenuta-in-busta-paga-per-il-danno-prodotto-dal-dipendente/ - articolo “La trattenuta in busta paga per il danno prodotto dal dipendente.”), caso che pure ben può capitare anche ad una PA:
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“Certamente il fatto che il lavoratore, prestando la sua attività, possa recare un danno ai beni aziendali è una eventualità ricorrente nei rapporti lavorativi. E’ ovvio che il danno vada risarcito, così com’è ovvio che la fonte primaria del risarcimento finisca per essere la retribuzione del lavoratore.
Ci si chiede quindi
> se il datore di lavoro possa autonomamente recuperare il corrispettivo del danno che ha subìto trattenendolo dalla busta paga del suo dipendente
> e se possa farlo senza limiti o se, ci siano condizioni specifiche che devono regolare l’azione del datore.
(…..)
E’ perciò escluso che il datore di lavoro possa procedere (((DIRETTAMENTE E SUBITO))) autonomamente ed automaticamente a prelevare, da quanto dovuto al dipendente per retribuzioni, la parte corrispondente al valore risarcitorio di ciò che è stato danneggiato.
Al contrario, qualora non vi sia, da parte del lavoratore, il riconoscimento del valore del danno, ovvero quando le Parti non raggiungano un accordo sull’entità di esso e sulle modalità di rimborso, il datore di lavoro, per poter procedere al recupero di quanto speso per le riparazioni, dovrà necessariamente promuovere una causa affinché sia il Giudice, nel contraddittorio fra le Parti, a stabilire se vi sia davvero colpa del lavoratore e quale sia l’esatta entità del danno da lui procurato.
E’ quanto si esprime dicendo che il credito del datore di lavoro deve essere “certo, liquido ed esigibile” e cioè non autostimato ma determinato da un Giudice nella sua esistenza, entità e riferibilità a quel dipendente, proprio perché quest’ultimo potrebbe contestare tanto l’entità quanto la stessa responsabilità del danno che gli viene addebitato.
In secondo luogo, occorre verificare se e quale sia la forma per poter procedere alla domanda di risarcimento. In linea di massima non è richiesto che il datore di lavoro svolga una specifica contestazione disciplinare formale al suo dipendente posto che, al di là della loro interdipendenza fattuale, una cosa è il comportamento in sé non diligente del lavoratore ed altra cosa è il danno economico che quel comportamento potrebbe aver procurato. Così stando le cose, il datore di lavoro potrebbe rivolgersi al Giudice per l’accertamento della responsabilità e la determinazione dell’importo del danno senza dover previamente dare corso alla precisa procedura disciplinare prevista dallo Statuto dei Lavoratori.
(…)
Nell’incertezza quindi sulla esatta procedura da seguire, riteniamo sia buona norma per il datore di lavoro procedere formalmente con la contestazione specifica del fatto, indicando il nesso di causalità – e cioè la responsabilità del lavoratore per quanto accaduto – e l’entità del danno procurato, invitando infine il lavoratore a fornire le sue eventuali giustificazioni.
Infine, si tratta di vedere come avviene operativamente il risarcimento del danno e cioè se e quanto il datore di lavoro possa trattenere dall’importo dovuto per retribuzioni.
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Orbene, mentre ai Quesiti 2° e 3° sopra posti, letto l’art. 2 comma 25 del D.Lgs. 165/2001, ben si può rispondere che sicuramente anche la PA-datore di lavoro nell’esecuzione del rapporto di lavoro deve improntare tutti i suoi comportamenti (attività di recupero incluse per eventuali pagamenti indebiti a propri dipendenti o danneggiamenti subiti dal proprio patrimonio ad opera di propri dipendenti!!!), alla pari del dipendente, ai principi di correttezza e buona fede6, la cui violazione - attraverso atteggiamenti riprovevoli sopra elencati ai detti quesiti - espone sicuramente la PA (fermo il suo credito per pagamento indebito o per danno ricevuto) a risarcire il danno arrecato al dipendente, magari di entità ben maggiore del recupero per cui la LA PA SI E’ COSI’ INCAUTAMENTE MOSSA, magari su pressione di qualche “Autorità” esterna che ha semplicemente ‘sollecitato’ il recupero (diverso sarebbe stato ove avesse avuto un titolo esecutivo giudiziale).
Diverso e più difficile è rispondere al quesito 1° ma qui ci aiuta la Cassazione Lavoro che con la succitata ordinanza n. 22823/2021 è venuta a chiarirci quanto segue chiarissimamente in punto di diritto, senza però suggerire cautamente, come ha dovuto fare invece il Consiglio di Stato nella sentenza sopra citata, semplicemente traguardando i principi di correttezza e buona fede in sede di esecuzione del contratto e magari anche l’art. 36 Cost.. Si noti come la vicenda giudiziaria originata – non a caso – da due Avvocati comunali di cui alla citata ordinanza verteva proprio non sulla legittimità del recupero ma sul MODUS dello stesso o meglio su di un suo aspetto. Gli estratti di tale ordinanza parlano da sé, magari adeguatamente chiosati/evidenziali, eccoli, non senza rilevare che la Corte d’Appello sconfessando il Tribunale aveva dato ragione ai due Avvocati ricorrenti che avevano subito le trattenute sullo stipendio per errore altrui (della Giunta – alle cui riunioni partecipa anche qualeconsulente giuridico il Segretario comunale ! - esattamente che aveva adottato un erroneo Regolamento, anzi pare addirittura nullo per violazione di norme imperative):
FATTO
1. Con sentenza del 18 maggio 2015 numero 111 la Corte d'Appello di Lecce riformava la sentenza del Tribunale di Taranto e, per l'effetto, in accoglimento della domanda proposta da D.T.A. e F.M. - avvocati cassazionisti dipendenti del COMUNE DI TARANTO (in prosieguo: il Comune) - dichiarava la illegittimità ((( la CASSAZIONE ex art. 63 co 1 TUPI !!!! “ ancorché vengano in questione atti amministrativi presupposti. Quando questi ultimi siano rilevanti ai fini della decisione, il giudice li disapplica, se illegittimi. ”))) della nota del 4 giugno 2009 numero 108 della direzione "Programmazione Finanziaria" del Comune, in forza della quale era stata operata dal giugno 2009 in loro danno la trattenuta di 1/5 dello stipendio. (((e per gli effetti)))
2. Condannava il Comune alla restituzione delle somme illegittimamente trattenute, maggiorate di accessori.
3. La Corte territoriale (((quell’Appello))) esponeva che il thema decidendum, come precisato nelle note depositate nel primo grado, era limitato allalegittimità della procedura posta in essere dal Comune per il recupero di retribuzioni che l'ente assumeva di avere corrisposto indebitamente.
4. Il Tribunale, pur dando atto dei limiti del giudizio e dell'esercizio da parte della amministrazione di un potere privatistico, aveva fatto discendere la legittimità della nota di recupero dalle precedenti delibere adottate dal Comune, in tal modo non rispettando l'oggetto della domanda, che